VICOVARO – Cercavano un uomo e un bambino scomparsi tra i boschi e le forre dei Monti Lucretili. Una missione come tante per l’ equipaggio del “Drago 56”: cinque vigili del fuoco e un volontario della protezione civile, uno dei pochi che conosceva bene quella zona, nel cuore della Valle dell’ Aniene, impraticabile come una giungla. La trappola mortale era sospesa a cento metri d’ altezza, sul “canalone Ronci”, un dirupo coperto di faggi e di ulivi selvatici tra i paesi di Vicovaro e Roccagiovine, a una trentina di chilometri da Roma. Un traliccio dell’ alta tensione, scuro e “invisibile” poco dopo le otto del mattino, coi cavi da 380 mila volt privi dei palloncini colorati di segnalazione. E’ bastato un attimo, un attimo e il sole in faccia nella carlinga dei piloti. L’ elicottero rosso si è abbassato e il rotore di coda ha tranciato di netto uno dei fili elettrici. Uno schianto, il fuoco, cinque vite stroncate. Il velivolo in fiamme si è abbattuto sulla sterpaglia seminando frammenti di metallo, vetro e stoffa a centinaia di metri di distanza. I cinque cadaveri, irriconoscibili, sono rimasti all’ interno del velivolo e sono stati recuperati dopo ore e ore di lavoro dai colleghi, il volto rigato di sudore e di lacrime. “E’ colpa dell’ Acea” accusa Liborio Pilato, ispettore per il Lazio dei Vigili mentre il “Bruco”, l’ enorme cingolato capace di scalare anche il terreno più infido, avanza lentamente su un sentiero tracciato dalle seghe a motore e dalle accette: “I cavi e i tralicci vanno segnalati, lo abbiamo detto e ripetuto centinaia di volte”. L’ azienda romana dell’ elettricità e acqua replica con un comunicato: “Nessuna irregolarità, avevamo tutte le autorizzazioni”. Ma le polemiche si smorzano davanti allo strazio delle famiglie, al dolore degli uomini in divisa verde che continuano a lavorare con ostinazione implacabile sotto il sole a martello. Sulla collina, tra l’ erba bruciata, i cespugli di more e gli sterpi che sembrano tagliati da una falce gigantesca, quello che resta dell’ “AB 412”: uno dei nuovi elicotteri dei vigili adibiti anche ad eliambulanza (altro servizio “impossibile” nella capitale, con le piazzole d’ atterraggio scarse e male attrezzate). Una enorme pala spezzata a metà, la carlinga contorta, carbonizzata e la sigla “Drago 56″, miracosamente intatta, che sembra una lapide funebre, le bombole dell’ ossigeno ridotte a tizzoni. A terra, miracolosamente intatto, anche il casco del copilota: Fabio Petrazzi, 37 anni. Ai comandi sedeva Luigi Del Zoppo, 37 anni e dietro, pronti a calarsi a terra per soccorrere i dispersi, c’ erano il meccanico Massimo Frosi, 32 anni, il caporeparto Paolo Martinelli, 47, e il volontario della protezione civile Antonio Marcheggiani, 50. Tante storie diverse finite in una tragedia comune. Marcheggiani era un direttore di banca iscritto all’Associazione di Soccorso “Giannino Caria” Paracadutisti, convenzionata con la Regione: appena saputo della missione, si era offerto di partecipare e aveva discusso, amichevolmente, con un vigile del fuoco, anche lui originario della zona di Tivoli. Alla fine, era riuscito a spuntarla. Il vigile, Umberto Onorati, era tra quelli che hanno recuperato i corpi: “Mi è sembrato di vedere il mio cadavere” ha mormorato, sconvolto. Prologo della tragedia: una scampagnata del weekend, due famiglie che decidono di passare il fine settimana nel parco naturale dei Lucretili, tra i boschi ancora incontaminati dove vivono ricci, tassi e volpi. E’ un posto incantevole ma i sentieri sono pochi e le indicazioni quasi inesistenti. Il gruppo (otto persone, due coppie e quattro bambini) parte da Pratone, si accampa, passa la notte in tenda e la mattina dopo, a piccole tappe, scala il Monte Gennaro. Sulla via del ritorno, Carlo Verre, 43 anni, programmista di una ditta appaltatrice della Tim si attarda assieme al figlioletto di 9 anni e si perde. La moglie lanca l’ allarme ma le ore passano e i due non si trovano. Sorpresi dal buio a un chilometro dal luogo della tragedia, padre e figlio montano la tenda, mangiano qualcosa e passano la seconda notte all’ aperto. Verso le 8,15, mentre stanno arrancando nella macchia, esausti e coperti di graffi, l’ uomo e il ragazzino scorgono l’ elicottero che sorvola la zona a bassa quota: si sbracciano, urlano ma l’ equipaggio non può individuarli. Poi sentono lo schianto e vedono il fumo. Pochi minuti dopo, una squadra di carabinieri del Gruppo di Frascati, al comando del colonnello Enrico Cataldi, avvista i due dispersi in mezzo alla boscaglia. “Ma cos’ è successo a quell’ elicottero?” balbetta l’ uomo che, involontariamente, è stato la causa della tragedia. Lo shock e il dolore saranno più forti del sollievo per essere stato salvato.
Articolo tratto da La Repubblica – Archivio